Assopesca Molfetta

AssopescaInforma
Anno I N. 3 Novembre/Dicembre 2001


Lavoro, fisco e previdenza
Manodopera straniera sui pescherecci italiani
Giuseppe Manente

La ricerca del personale da imbarcare sulle navi da pesca, col passare degli anni è divenuta sempre più difficoltosa. L'offerta del mercato nazionale del lavoro è, infatti, asfittica, specie in determinate zone del Paese, e, di conseguenza, si è imposta da tempo l'esigenza di attingere a manodopera straniera, aprendo nuove vie di reclutamento, al fine di riequilibrare una situazione gravida di pesanti conseguenze economiche per le imprese di pesca. In tal senso sono state intraprese numerose iniziative, le quali, però, molto spesso hanno conseguito risultati in parte o del tutto negativi.
Emblematico, a tal proposito, il caso di Molfetta, dove nel 1999 il Centro Servizi Assopesca, in assenza di idonee azioni di stimolo del Governo, avanzò la proposta formale al Ministero dell'agricoltura albanese di avviare un processo di collaborazione, per impostare una politica comune e a lungo termine della pesca nel basso Adriatico.
Il progetto prevedeva quattro fasi attuative, in vista del raggiungimento dell'obiettivo massimo, individuato nella creazione di società miste italo-albanesi, impegnate nella produzione, nella promozione e nella commercializzazione dei prodotti ittici.
La prima fase era tutta improntata all'acquisizione di manodopera albanese da parte delle imprese di pesca molfettesi, prevedendo l'ingaggio di 100 unità lavorative.
Il Centro Servizi si assumeva l'onere di curare tutta la parte burocratico-amministrativa del progetto (visti e permessi di soggiorno), oltre che ricercare opportunità di sistemazioni logistiche ai marittimi stranieri, a cui sarebbe stato assicurato un trattamento economico e previdenziale conforme al contratto collettivo nazionale di lavoro.
Le autorità albanesi condivisero immediatamente il progetto. In seguito venti lavoratori furono regolarmente imbarcati sulle navi da pesca del Compartimento marittimo di Molfetta.
L'iniziativa, a distanza di due anni dal suo avvio, ha conseguito solo parzialmente i risultati auspicati. I marinai albanesi, infatti, non sempre si sono mostrati capaci di inserirsi in modo efficace e disciplinato nel lavoro di bordo, evidenziando, in alcuni casi, anche una professionalità piuttosto approssimativa.
Alcuni di essi, poi, hanno abbandonato il lavoro senza preavviso e in anticipo sulla scadenza contrattuale, con i prevedibili danni a carico delle imprese che li avevano ingaggiati.
Questa esperienza, pur se non del tutto negativa, dimostra come occorra ripensare le modalità per il reperimento di manodopera di altri Paesi.
Innanzitutto, le autorità straniere preposte alla selezione del personale da inviare in Italia dovrebbero rivedere le procedure di reclutamento in loco, rendendole più efficaci e rigide, onde evitare di favorire avventurieri e persone inaffidabili nell'impegno lavorativo.
Inoltre, si dovrebbe subordinare la concessione del permesso di soggiorno al rispetto del contratto di lavoro ed, eventualmente, alla frequenza certificata di corsi di formazione professionale.
Una priorità assoluta, comunque, s'impone. Quella di individuare strategie efficaci per far riscoprire ai nostri giovani la valenza economica e professionale del lavoro marittimo. Una adeguata e mirata azione promozionale, effettuata tramite le agenzie educative e di comunicazione sociale, potrebbe riavvicinare al mondo della pesca molti giovani, in grado fornire linfa vitale e nuovo slancio al settore.
I più capaci di essi potrebbero divenire gli imprenditori del domani, aperti all'innovazione e in grado, quindi, di creare un futuro foriero di successi economici per se e per tutto il comparto della pesca italiana.

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