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Anno VI - N. 3/4 - Maggio/Agosto 2006



Eutanasia della pesca
Francesco Gesmundo

Le statistiche sul recente utilizzo del fondo per i contributi alle imprese di pesca che presentano domanda di ritiro definitivo dall'attività inducono a qualche, preoccupata, riflessione.

Sono state presentate oltre 600 domande per un impegno di spesa pari a 100 milioni di euro e sono stati accordati contributi per 60 milioni di euro di cui 40 alle regioni meridionali inserite nel cosiddetto "obiettivo 1".

Sono stati esauriti i fondi nei primi tre giorni a fronte di un bando della durata di 3 mesi, con una previsione di ritiri di 300 natanti.

Viene da chiedersi se questo stru­mento abbia davvero contribuito a raggiungere l'obiettivo del rendimento sostenibile delle imprese di pesca o non rappresenti una sorta di eutanasia del settore, incoraggiato a suicidarsi a favore delle marinerie del nord Eu­ropa con gravissimi costi sociali, eco­nomici e culturali per le nostre regioni. Si conferma, così, la natura punitiva e demotivante del contributo per il ritiro definitivo che impoverisce enormemen­te la pesca italiana, liberando il mercato per le scorribande degli speculatori, delle imprese straniere specie di quelle dei paesi frontalieri non soggette alla normativa comunitaria.

Strade alternative per le politiche di tutela delle risorse coniugata con il reddito giusto d'impresa, meno drasti-che e, soprattutto, più efficaci sono state praticate finora con molta timi­dezza e pochissima convinzione.

Invece di incoraggiare lo sviluppo sostenibile di un settore che continua a rappresentare un segmento impor­tante della nostra economia, uno stru­mento per incrementare l'occupazione, un momento importante della nostra tradizione e della nostra cultura, in presenza di rinnovato interesse dei consumatori per i prodotti del mare per le loro qualità organolettiche, il gusto e la dimostrata efficacia per la salute dei consumatori, si preferisce sostenere con consistenti contributi la fuga degli armatori, il depauperamento della nostra flotta peschereccia, la scomparsa di un mestiere nobile e antichissimo. Eppure le risorse e gli strumenti finanziari di intervento comu­nitario già esistenti e quelli previsti nel nuovo Regolamento del Consiglio relativo al Fondo europeo per la pesca (FEP), potrebbero utilmente ed effica­cemente raggiungere gli obiettivi del FEP stesso {vedi rubrica Panorama comunitario) e il risultato del rendimen­to sostenibile delle attività di pesca. Basterebbe sostenere e incremen­tare le capacità imprenditoriali degli armatori, contrastare il parassitismo e l'eccessivo peso della commercializ­zazione garantendo un giusto rendi­mento all'attività di pesca, incremen­tare la ricerca scientifica per la tutela delle risorse alieutiche non limitarsi ad adottare strumenti di contenimento o di sospensione dell'attività che non hanno mai dato esiti soddisfacenti perché non collegate ai risultati della ricerca biologica, accelerare il decen­tramento effettivo del governo del set­tore affidandolo alle Regioni, favorire la nascita delle Organizzazioni di Pro duttori, adottare politiche che incorag­gino gli operatori a consorziarsi per ridurre i costi, incrementare i profitti, avere una presenza organizzata e forte nei mercati, responsabilizzandoli nella gestione dello sforzo di pesca e nella ricerca di metodi e strumenti più selet­tivi per la pesca.

Una forte Organizzazione di Produt­tori potrebbe coniugare meglio di quanto facciano le politiche comunitarie lo sfor­zo di pesca con la necessità di rispettare il mare, il suo ecosistema e il suo ripo­polamento. Potrebbe offrire maggiori e migliori garanzie per il consumatore sempre più attento ai temi della qualità e della tracciabilità delle risorse, farne un alleato nel rispetto dell'ambiente marino, educandolo ad un consumo più compatibile con il reddito d'impresa e con la tutela delle risorse, valorizzando le specie "povere", orientandone il gusto e ricreando l'interesse, l’attrattività della pesca, di questa attività cosi intimamen­te legata con la cultura, la storia, l'eco­nomia delle nostre terre.

Su queste pagine abbiamo spesso stigmatizzato comportamenti e incapa­cità degli operatori non mancando mai, però, di sottolineare il peso eccessivo di norme complicate, farraginose e perciò difficilmente applicabili, tutta quella serie di lacci e lacciuoli che impediscono lo sviluppo autonomo e responsabile di imprese moderne che, senza rinnegare la tradizione riescano a fare "reddito", ad essere concorrenziali e efficaci sui mercati nazionali e inter­nazionali, dicendo la parola fine a com­portamenti scorretti, alle richieste di sostegni economici contingenti e tem­poranei che non risolvono i problemi strutturali ma alimentano un'economia assistita, uno stato comatoso che ha come unico sbocco appunto l'eutanasia.

Non mancano le capacità, le risorse umane, la voglia di fare impresa, oc­corre davvero impostare una politica per la "vita" e non per la "morte" indo­lore della nostra pesca.

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