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ASSOPESCAINFORMA - ANNO V - N. 4/5 - LUGLIO/OTTOBRE 2005


editoriale
Crisi "gasolio" e crisi della pesca
Francesco Gesmundo

La recente crisi dovuta all'aumento esponenziale dei costi per l'approvigionamento del gasolio sembra avere i connotati di un ultimo, forse decisivo colpo inferto alla pesca italiana.
Le manifestazioni di protesta che hanno coinvolto tutte le marinerie hanno espresso, per la forza della partecipazione compatta e convinta, il profondo disagio in cui da anni versa un settore che ancora deve essere considerato rilevante per l'economia nazionale e, in particolare, per quella meridionale.
Finalmente tutte le Associazioni di categoria hanno fatto uno sforzo per superare antiche divisioni, dando l'impressione che la frantumazione della rappresentanza settoriale o particolaristica sia stata ricomposta in nome di un interesse comune a "passare questa brutta nottata" e riprendere il cammino dello sviluppo.
Il Governo si è dimostrato solidale e attento al problema intervenendo in sede comunitaria per far valere le buone ragioni di chi da anni combatte contro crisi ricorrenti, esposto com'è ai venti della globalizzazione della quale avverte sulla propria pelle solo i danni.
Ma questa volta, assunto come assolutamente positivo il valore dell'unità e della solidarietà, abbiamo il dovere di dire chiaramente al mondo della pesca alcune scomode verità che del resto andiamo da tempo ripetendo su queste pagine.
Un sostegno economico congiunturale non è purtroppo sufficiente; non si può pensare di affrontare una crisi profonda e strutturale con un'altra mancia, con una boccata d'ossigeno che prolunga l'agonia.
Il settore è ormai avvitato sempre più in difficoltà e problemi che non possono risolversi con un intervento estemporaneo nonché difficilmente conciliabile con la normativa comunitaria.
La disponibilità e l'impegno del sottosegretario Scarpa è un valore aggiunto che infonde speranza e fiducia. Ma da solo non basta ad invertire la "tendenza ed arrestare il declino della pesca italiana.
I nodi sono venuti al pettine e impongono una vera e propria rivoluzione culturale oltre che politica.
Si tratta di consentire al settore di operare in modo flessibile, adattandosi alle condizioni meteomarine e alle situazioni di mercato, stabilendo un plafond di giornate annuali di pesca lasciando alle singole imprese la scelta di come e quando realizzare le battute di pesca. Si potrebbe in tal modo stimolare la competizione e la crescita di una moderna cultura d'impresa, privilegiando la capacità di riconoscere le opportunità e di coglierle attraverso un ragionato e ragionevole rischio d'impresa; si creerebbero le condizioni per impostare in modo serio e scientifico le politiche di tutela delle risorse alieutiche, ora inefficaci e incapaci di salvaguardare il futuro del settore; si consentirebbe alle imprese di operare in condizioni che rispettino le norme sulla sicurezza del lavoro, prevenendo una serie di tragici incidenti che hanno costretto le marinerie a pagare un pesante tributo in termini di vite umane e di danni economici, per la necessità di operare in condizioni al limite e talvolta oltre il limite della sicurezza.
Si parla anche di liberare il settore dalle pastoie di una legislazione soverchiante e confusa. Sono troppi i livelli legislativi, sono troppi e a volte con-traddittori i livelli di normazione, comunitaria, nazionale e regionale; il settore ne risulta ingabbiato, ingessato e alle prese con eccessivi vincoli che, stante anche la carenza dei controlli, inducono a comportamenti evasivi o elusivi delle norme, rendendo difficile per gli imprenditori seri e rispettosi della legge il conseguimento di un adeguato e giusto profitto.
Si tratta, poi, di tentare di armonizzare le norme comunitarie con quelle dei paesi del Mediterraneo, in cui si pratica una pesca selvaggia, con mezzi vietati o non coerenti con la necessità di tutelare le risorse, imponendo, se è il caso, attraverso la forza della ragione e del potere economico europeo, una politica di gestione corretta, efficace e moderna delle risorse alieutiche, per garantire a tutti quanti operano in quel mare la possibilità di ottenere una giusta remunerazione per un lavoro che rimane difficile e rischioso.
Si tratta di lavorare per unire e non per favorire la frantumazione della legislazione regionale, la rigidità dei comparti, il particolarismo e la "guerra tra poveri" delle marinerie che con miopia guardano ai propri interessi immediati e non al futuro di un settore che rischia di soccombere sotto i colpi della crisi e della competizione globale.
Si tratta di riequilibrare il peso della commercializzazione con quello della produzione, oggi eccessivamente sbilanciato a favore del parassitismo dell'intermediazione; le imprese devono riappropriarsi di un ruolo attivo nella commericializzazione dei propri prodotti, operando sempre più in maniera sinergica attraverso i consorzi, per cogliere tutte le opportunità offerte dai mercati e dalla competizione. L'aggressiva competitivita della produzione extracomunitaria nei nostri mercati, basata su un sistema di regole e controlli molto più, per così dire, "elastico" e sull'eccesso di normazione e di vincoli nel nostro paese, rischia, inoltre, di occupare i mercati, scacciando la nostra produzione che è qualitativamente superiore e più sicura, facendo leva su prezzi molto competitivi, per sistemi di produzione assolutamente non compatibili con i nostri e con le giuste tutele da offrire ai consumatori.
Il decisore politico deve quindi creare le condizioni per favorire l'imprenditorialità, per tutelare i consumatori, per valorizzare i prodotti di provenienza sicura ed accertata, per offrire strutture mercatali moderne ed efficienti, per garantire flessibilità e liberare il settore da tutte le sue pastoie.
 
Solo a queste condizioni la pesca italiana potrà recuperare competitivita, attrezzarsi a vincere la sfida della globalizzazione, incamminarsi verso lo sviluppo, ammodernando mezzi e condizioni di operatività, garantendo agli operatori un reddito adeguato e ai consumatori le giuste condizioni di sicurezza.
Tutti devono fare la loro parte perché non è più il tempo di mance o di interventi congiunturali, ma ognuno deve recuperare pienamente il senso delle proprie responsabilità e dei propri doveri per assicurare un futuro alla pesca italiana.
Noi come sempre siamo pronti a ripetere queste scomode verità fino a quando non saranno ascoltate e recepite, operando realmente al servizio della categoria e non illudendola che un altro contributo possa risolvere una crisi strutturale che richiede ben altri strumenti ed una diversa solidarietà tra tutti gli attori del settore.


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